Quella della Reggia di Carditello è una storia paradossale, e insieme paradigmatica della schizofrenia della società in cui viviamo, dove tanto si parla di tutela dei beni culturali e ambientali mentre quegli stessi beni vengono abbandonati o distrutti. Voluta da Carlo di Borbone nel ‘700, fu una “fattoria modello”, un centro di eccellenza della zootecnica animato dal lavoro e dalle ricerche di tecnici e scienziati provenienti da tutta l’Europa: una “istituzione” gloriosa, fino all’arrivo dei Savoia, che la diedero in gestione a un signorotto di Casal di Principe, un camorrista del tempo, decretando l’inizio di una decadenza che nel corso del ‘900 ha visto la reggia diventare anche un luogo di latitanza dei Casalesi, e i suoi dintorni una “santa barbara” del traffico di armi.
Per tutti questi motivi, Carditello è un simbolo della storia incompiuta del Paese, di un’Italia mai unificata davvero nel sogno mazziniano, del suo sud depredato. Un emblema della malasorte che si è abbattuta sulla Terra di Lavoro, diventata in anni recenti “Terra dei Fuochi”: una terra che fu fertilissima – capace di tre raccolti all’anno – e che oggi è stretta d’assedio da tre discariche, una di queste tra le più grandi d’Europa, e dal tracciato della TAV.
tratto da “CIÒ CHE FU È SEMPRE PERDUTO ED È L’IMPOSSIBILE CHE DESIDERIAMO”
Conversazione con Pietro Marcello e Maurizio Braucci